RASSEGNA STAMPA

LA REPUBBLICA - Marina, la faccia scura del G8 dalla Caritas al black bloc

Genova, 16 Dicembre 2007

 

Chi è l´anarchica condannata a undici anni per le devastazioni del 2001
LE ORIGINI
IL LAVORO
LA MILITANZA
Marina, la faccia scura del G8 dalla Caritas al black bloc
La mamma: "Ha la coscienza a posto"
La donna dovrà anche scontare un´altra pena per gli scontri del marzo 2006 a Milano
Poche parole prima della sentenza: "Non riconosco questo stato e non chiedo clemenza o sconti"

MARCO PREVE

Il paesino di tremila anime in una lontana valle di Lecco, l´educazione cattolica, poi l´adesione all´anarchia, la vita in una casa occupata e l´assistenza agli anziani con la cooperativa Caritas. Quindi il 2001 a Genova e corso Buenos Aires a Milano nel 2006. Marina Cugnaschi, 41 anni, un metro e sessanta per poco più di quaranta chili, è dall´altro ieri il volto del black bloc del G8. E´ sua la condanna più pesante - 11 anni - del processo contro i 25 imputati di devastazione e saccheggio. Alla pena rimediata a Genova la Cugnaschi deve aggiungere altri 4 anni, sempre per lo stesso reato, rimediati per gli scontri di corso Buenos Aires, marzo 2006 a Milano quando scoppiò la rivolta contro la manifestazione dei neofascisti di Forza Nuova. Certo è che la condanna della Cugnaschi, se da un lato ha già innescato il dibattito sulla necessità di rivedere le pene per questo reato (tra i sostenitori il magistrato Livio Pepino consigliere del Csm), dall´altro obbliga ad approfondire, se non dal punto di vista giudiziario almeno da quello storico e sociale, il ruolo di una manifestante che, seppur violenta, si è beccata una condanna degna di una primula rossa del terrorismo.
«Mia figlia mi ha detto che ha la coscienza a posto e io le credo. Se è finita in quel processo è perché ha seguito qualche compagnia sbagliata».
L´anziana madre di Marina parla al telefono dalla sua casa di Ballabio, paesino ai piedi dei monti della Grignetta. La mamma è sempre la mamma, d´accordo, ma forse la Cugnaschi non è neppure la leader in cui l´hanno trasformata le centinaia di scritte sui muri tracciate durante la sua lunga carcerazione preventiva. Marina Cugnaschi, prima del 2001, e nonostante Milano sia una delle culle dei movimenti disobbedienti, della sinistra extraparlamentare e del cosiddetto insurrezionalismo, non aveva mai subito una perquisizione per indagini su attentati o terrorismo. E´ una anarchica convinta, anche se di quelle che non aderiscono alla storica federazione del Fai. Legge molto, è colta anche se proviene da una famiglia semplice. Negli anni ‘90 a Milano lavora per la coop "Farsi Prossimo" legata alla Caritas. Aiuta e assiste gli anziani. Con il suo compagno vive in una casa occupata di via Raimondi dove c´è anche il centro sociale "Villa Okkupata" che lei però non frequenta, preferendo quello di via Torricelli, dove c´è una libreria fornita e un caffè autogestito. Da un paio d´anni, per mantenersi, fa anche la barista, ma è una che si accontenta di poco e nonostante sia ormai diventata una sorta di simbolo, alle assemblee o alle manifestazioni non è una che interviene o prende la parola per indicare strategie e obiettivi. Prima della sentenza però, al processo di Genova ha voluto parlare: «Non chiedo clemenza o sconti, perché non riconosco come interlocutore l´apparato giudiziario. Rifiuto questo sistema capitalista sempre più spietato, escludente, e la sua classe dirigente: sono loro i devastatori e saccheggiatori del pianeta». Adesso, per l´opinione pubblica, si porta addosso il peso delle sue colpe e forse anche quelle di quelli che, e sono la maggior parte, l´ha fatta franca.